giovedì 24 ottobre 2013

PARLANDO COI CANI

Certo che quando la notte ti sdrai a guardare il cielo, ti accorgi che le stelle sono davvero tante. Per quello ti piace, ti senti un Dio. Ormai i nostri miti erano svaniti, non c'erano più e questo ci faceva cadere qualche lacrima dal viso, sporco di polvere e di carbone, che nelle sere di settembre usavamo per accendere il fuoco. Pure il giradischi si era rotto, non sapevamo più ascoltare. Quella notte stavamo giocando a carte. Ogni tanto qualcuno tossiva, ma non una, non una parola. Le avevamo finite. Non sapevamo più neanche parlare. L'ambiente era calmo e tranquillo, nel cortile si stava bene, i gufi accompagnavano i grilli, ma nessuno la luna. Pietro era appena tornato, era andato a comprare della tinta bionda, proprio come il suo colore naturale, ogni tanto la dava sui gatti che passavano e ogni tanto sulle sua sopracciglia. Richi cadde dalla seggiola, ma niente, neanche un sorriso o una risata. Continuavamo a giocare con i nostri re e le nostre regine, coloro che ormai per noi non c'erano più. Non ci importava più essere ricchi, ormai eravamo vuoti dentro. Ma son proprio quelle le notti in cui se senti abbaiare devi tacere ed ascoltare, e noi decidemmo di farlo. I cani della città ci parlavano , ci raccontavano la loro vita, noi capimmo che qualcuno canticchiava, qualcosa che forse c'era appartenuto. Ma non era un caso, non era un caso che in quella notte la luna diventò più grande e più bianca. Eravamo tornati ad ascoltare.

un omaggio

lunedì 21 ottobre 2013

Il nostro volo

Lo sapevamo che prima o poi si sarebbe spenta, si sarebbe spenta la Giamaica intera. Perché oggi, e ricordo solo questa data, undici maggio è successo ciò che ha occupato le prime pagine di tutti i giornali. Oggi è morto colui che pregava cantando e che ci aveva fatto ballare. Il funerale sarebbe avvenuto per il ventuno e noi il ventuno dovevamo essere in Giamaica. Il paese non sembrava scosso dall'avvenimento, ma noi avevamo un mito in meno e un qualcosa per cui non parlare tutto il giorno. Solo il giorno dopo cominciammo a parlare. Parlammo di come saremmo potuti arrivare in Giamaica. Tirammo fuori il nostro aereo dal capanno. Erano anni che non lo usavamo. Decidemmo di decorarlo. Cominciammo a dipingere un lato con i colori Giamaicani, che Matti aveva procurato. L'altro lato lo dedicammo a Bob e gli facemmo un grandissimo ritratto in bianco e nero. Attaccammo alla coda uno striscione con scritto in grande tutti i titoli delle sue canzoni e dei piagnoni. La decorazione finì il diciotto, caricammo i bagagli ed eravamo pronti a prendere il volo. Avrei guidato io. Purtroppo avevamo dimenticato che era un aereo a due posti. Fu un brutto momento. Allora lasciammo a casa tutti i bagagli e ci posizionammo nei sedili stretti come la vite nella tenaglia o come il toast nella piastra. Quella spedizione aveva senso come l'anatra che era allo stagno e andò a casa a bere. Accendemmo i motori, se c'erano ingranammo le marce e via partiti. Ci trovavamo già molto in alto dopo pochi secondi. La nostra scritta sventolava al vento e continuammo il viaggio per molte ore. Avevamo una gran fame e una gran sete ma non avevamo niente da mangiare, Francobollo sparò con la pistola,di cui nessuno sapeva l'esistenza ad un uccello, non so che razza, lo pulì con il coltellino e lo cucinò nel motore. Purtroppo il sapore della benzina c'aveva fatto venire una tale sete da pensare di buttarci in mare, ma le cose non si sarebbero sistemate. Erano le nove del mattino, i miei compagni si erano appena svegliati. Avevamo davanti a noi ancora due giorni di viaggio. Purtroppo però l'aereo si... ruppe. Ci schiantammo in mezzo alla campagna di non so quale paese.
Lo schianto fu tremendo ma noi non ci facemmo niente. Ora cosa potevamo fare. Probabilmente eravamo già negli Stati Uniti. Non ci restava che camminare. Camminammo alla ricerca di una città per cinque ore e finalmente la trovammo. C'erano degli esseri umani, ed era buon segno. Vedemmo un furgone fermo, la scritta sbiadita sul lato destro era Giamaica e ci venne una folle idea, legarci al furgone e farci trasportare fino là. Andammo a comprare o meglio barattare con quello che avevamo in tasca, delle slitte e delle corde. Legammo le slitte alle corde e le corde al furgone. Prendemmo da un campo della verdura e in rosticceria rubammo un pollo. Prendemmo dell'acqua in un pozzo e ci sedemmo sulle slitte, pronti a partire. Aspettammo un ora e il proprietario del furgone partì. Cominciammo mangiare e bere. Eravamo sporchi e un po' tagliati, ma noi andavamo avanti. Non so quanto dormimmo, ma ci ritrovammo in Giamaica il giorno dopo... credo. Era strano perché avevo calcolato che ci fosse l'acqua in mezzo. Ci alzammo dalle slitte ormai incandescenti e chiedemmo ad alcuni ragazzi che passavano, con il poco inglese che spiccicavamo dove si celebrava il funerale di Bob. Ci dissero di seguirli e così facemmo. Una folla di gente avvolgeva la sua bara, le urla e le sue canzoni cantate dal popolo. Seguimmo la folla per dei chilometri, stavamo cambiando come modo di vivere, tanto che ci togliemmo le scarpe. Ci piaceva come facevano i funerali lì. Dopo la sepoltura, la folla si distese e si sciolse, ora la città era come deserta. Comprammo tutti i dischi che i negozi vendevano, i cappelli locali, ci facemmo i capelli rasta e cercammo di abbronzarci il più possibile. Per la sera ci mettemmo a dormire in una vecchia casa abbandonata in cima alla collina, e mentre mi stavo addormentano, dalla finestra non potei non notare il nostro aereo che passava. La casa mi ricordava molto un altro posto...