Certo che quando la
notte ti sdrai a guardare il cielo, ti accorgi che le stelle sono
davvero tante. Per quello ti piace, ti senti un Dio. Ormai i nostri
miti erano svaniti, non c'erano più e questo ci faceva cadere
qualche lacrima dal viso, sporco di polvere e di carbone, che nelle
sere di settembre usavamo per accendere il fuoco. Pure il giradischi
si era rotto, non sapevamo più ascoltare. Quella notte stavamo
giocando a carte. Ogni tanto qualcuno tossiva, ma non una, non una
parola. Le avevamo finite. Non sapevamo più neanche parlare.
L'ambiente era calmo e tranquillo, nel cortile si stava bene, i gufi
accompagnavano i grilli, ma nessuno la luna. Pietro era appena
tornato, era andato a comprare della tinta bionda, proprio come il
suo colore naturale, ogni tanto la dava sui gatti che passavano e
ogni tanto sulle sua sopracciglia. Richi cadde dalla seggiola, ma
niente, neanche un sorriso o una risata. Continuavamo a giocare con i
nostri re e le nostre regine, coloro che ormai per noi non c'erano
più. Non ci importava più essere ricchi, ormai eravamo vuoti
dentro. Ma son proprio quelle le notti in cui se senti abbaiare devi
tacere ed ascoltare, e noi decidemmo di farlo. I cani della città ci
parlavano , ci raccontavano la loro vita, noi capimmo che qualcuno
canticchiava, qualcosa che forse c'era appartenuto. Ma non era un
caso, non era un caso che in quella notte la luna diventò più
grande e più bianca. Eravamo tornati ad ascoltare.
giovedì 24 ottobre 2013
lunedì 21 ottobre 2013
Il nostro volo
Lo sapevamo che prima o
poi si sarebbe spenta, si sarebbe spenta la Giamaica intera. Perché
oggi, e ricordo solo questa data, undici maggio è successo ciò che
ha occupato le prime pagine di tutti i giornali. Oggi è morto colui
che pregava cantando e che ci aveva fatto ballare. Il funerale
sarebbe avvenuto per il ventuno e noi il ventuno dovevamo essere in
Giamaica. Il paese non sembrava scosso dall'avvenimento, ma noi
avevamo un mito in meno e un qualcosa per cui non parlare tutto il
giorno. Solo il giorno dopo cominciammo a parlare. Parlammo di come
saremmo potuti arrivare in Giamaica. Tirammo fuori il nostro aereo
dal capanno. Erano anni che non lo usavamo. Decidemmo di decorarlo.
Cominciammo a dipingere un lato con i colori Giamaicani, che Matti
aveva procurato. L'altro lato lo dedicammo a Bob e gli facemmo un
grandissimo ritratto in bianco e nero. Attaccammo alla coda uno
striscione con scritto in grande tutti i titoli delle sue canzoni e
dei piagnoni. La decorazione finì il diciotto, caricammo i bagagli
ed eravamo pronti a prendere il volo. Avrei guidato io. Purtroppo
avevamo dimenticato che era un aereo a due posti. Fu un brutto
momento. Allora lasciammo a casa tutti i bagagli e ci posizionammo
nei sedili stretti come la vite nella tenaglia o come il toast nella
piastra. Quella spedizione aveva senso come l'anatra che era allo
stagno e andò a casa a bere. Accendemmo i motori, se c'erano
ingranammo le marce e via partiti. Ci trovavamo già molto in alto
dopo pochi secondi. La nostra scritta sventolava al vento e
continuammo il viaggio per molte ore. Avevamo una gran fame e una
gran sete ma non avevamo niente da mangiare, Francobollo sparò con
la pistola,di cui nessuno sapeva l'esistenza ad un uccello, non so
che razza, lo pulì con il coltellino e lo cucinò nel motore.
Purtroppo il sapore della benzina c'aveva fatto venire una tale sete
da pensare di buttarci in mare, ma le cose non si sarebbero
sistemate. Erano le nove del mattino, i miei compagni si erano appena
svegliati. Avevamo davanti a noi ancora due giorni di viaggio.
Purtroppo però l'aereo si... ruppe. Ci schiantammo in mezzo alla
campagna di non so quale paese.
Lo schianto fu tremendo
ma noi non ci facemmo niente. Ora cosa potevamo fare. Probabilmente
eravamo già negli Stati Uniti. Non ci restava che camminare.
Camminammo alla ricerca di una città per cinque ore e finalmente la
trovammo. C'erano degli esseri umani, ed era buon segno. Vedemmo un
furgone fermo, la scritta sbiadita sul lato destro era Giamaica e ci
venne una folle idea, legarci al furgone e farci trasportare fino là.
Andammo a comprare o meglio barattare con quello che avevamo in
tasca, delle slitte e delle corde. Legammo le slitte alle corde e le
corde al furgone. Prendemmo da un campo della verdura e in
rosticceria rubammo un pollo. Prendemmo dell'acqua in un pozzo e ci
sedemmo sulle slitte, pronti a partire. Aspettammo un ora e il
proprietario del furgone partì. Cominciammo mangiare e bere.
Eravamo sporchi e un po' tagliati, ma noi andavamo avanti. Non so
quanto dormimmo, ma ci ritrovammo in Giamaica il giorno dopo...
credo. Era strano perché avevo calcolato che ci fosse l'acqua in
mezzo. Ci alzammo dalle slitte ormai incandescenti e chiedemmo ad
alcuni ragazzi che passavano, con il poco inglese che spiccicavamo
dove si celebrava il funerale di Bob. Ci dissero di seguirli e così
facemmo. Una folla di gente avvolgeva la sua bara, le urla e le sue
canzoni cantate dal popolo. Seguimmo la folla per dei chilometri,
stavamo cambiando come modo di vivere, tanto che ci togliemmo le
scarpe. Ci piaceva come facevano i funerali lì. Dopo la sepoltura,
la folla si distese e si sciolse, ora la città era come deserta.
Comprammo tutti i dischi che i negozi vendevano, i cappelli locali,
ci facemmo i capelli rasta e cercammo di abbronzarci il più
possibile. Per la sera ci mettemmo a dormire in una vecchia casa
abbandonata in cima alla collina, e mentre mi stavo addormentano,
dalla finestra non potei non notare il nostro aereo che passava. La
casa mi ricordava molto un altro posto...
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