La sofferenza
passata in quei giorni, non la dimenticherò mai.
Stavo proprio male
io, seduto alla scrivania, poeta disfatto, con la penna accanto a me
senza più inchiostro né parole. La bottiglia che avevo di fronte
cambiava forma a seconda delle ore del giorno. Il tempo però mi
sembrava trascorrere lento e non sentivo piacere e non provavo
sentimenti.
Ogni tanto mi
sforzavo di pensare e di inventare qualche verso che mi poteva dar
sollievo ed ispirare per poi continuare. Erano passate circa otto
notti da quando avevo scritto l'ultima frase, goccia di magia
lontana.
Nulla mi sentivo più
vicino a parte quel dolore di non riuscire, di incapacità di fronte
a Dio ed io uomo semplice, inaccontentabile di ogni cosa, che troppa
fame avevo e mi ardeva dentro come un grande fuoco. Il giorno aveva
perso luce e i miei eroi erano crollati vedendomi piangere
dall'insoddisfazione.
Dovevo andare oltre.
Volevo vedere il futuro volevo già troppo e mi dovetti fermare.
Faceva male non
riuscire a scrivere, con la mano che sulla carta dolce tremava.
Non vedevo più la
luna in cielo e neanche le stelle erano accese.
Una piccola farfalla
della notte entrò dalla finestra aperta e si poggiò su un libro,
per poi lasciarsi andare e morire. Volare via.
Fu in quell'istante
di morte, di sofferenza, di indigestione di futuro che stavo facendo
che mi accorsi che ogni secondo che passava era un secondo in meno.
Allora preso da una
grande frenesia cominciai a sbattere il pugno sul legno di mogano, e
ansimare e cercavo di non capire ma non riuscivo a non pensare.
La risposta che
trovai fu nel mio passato. Nei miei ricordi. Lì quella farfalla non
sarebbe mai morta. Erano i ricordi, che ti tenevano in vita, erano
quelli che ti facevano sorridere. Era il secondo prima delle lacrime,
l'istante prima del buio, la felicità prima della felicità.
E mi ricordai,
allora, dei miei nonni, di quanto erano belli in quella foto da
ragazzi in cui erano giovani e la loro pelle non presentava i segni
del futuro. Quando sorridevano e i loro occhi rispondevano ad ogni
domanda dell'universo.
Mi ricordai i
giocattoli di quando ero piccolo,della mia mamma che me li regalava e
di mio padre con cui giocavo. Mi ricordai della prima volta in cui
sognai e della prima volta in cui piansi. Mi ricordai il mio cane che
correva verso una palla, contento ed immortale nella mia testa.
Impossibile morire nei miei ricordi. Impossibile cancellare la storia
ed è per questo che fa paura. Incredibile il piacere che provai
quando la mia mano ormai sudata e rossa e lacrime fredde mi toccavano
il volto con un espressione sorridente ma triste, lasciò la presa.
Il passato ed ricordi ti ammazzano e ti tengono in vita. Della
bellezza dei fiori e del vento che muove i capelli. Mi calmai e smisi
di piangere come un bambino, il quale ero. Lasciai la mia penna sul
tavolo insieme all'inchiostro trasparente di cui era sporca.
Aprì la porta della
mia modesta casetta e quella notte la luna era tanto grande e tanto
bella che l'avrei voluta stringere. Mi stesi sul prato, fresco di
rugiada e di brina. Mi ricordai di quanto ancora fosse bello ...
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