giovedì 30 ottobre 2014

POETA DISTRUTTO

La sofferenza passata in quei giorni, non la dimenticherò mai.
Stavo proprio male io, seduto alla scrivania, poeta disfatto, con la penna accanto a me senza più inchiostro né parole. La bottiglia che avevo di fronte cambiava forma a seconda delle ore del giorno. Il tempo però mi sembrava trascorrere lento e non sentivo piacere e non provavo sentimenti.
Ogni tanto mi sforzavo di pensare e di inventare qualche verso che mi poteva dar sollievo ed ispirare per poi continuare. Erano passate circa otto notti da quando avevo scritto l'ultima frase, goccia di magia lontana.
Nulla mi sentivo più vicino a parte quel dolore di non riuscire, di incapacità di fronte a Dio ed io uomo semplice, inaccontentabile di ogni cosa, che troppa fame avevo e mi ardeva dentro come un grande fuoco. Il giorno aveva perso luce e i miei eroi erano crollati vedendomi piangere dall'insoddisfazione.
Dovevo andare oltre. Volevo vedere il futuro volevo già troppo e mi dovetti fermare.
Faceva male non riuscire a scrivere, con la mano che sulla carta dolce tremava.
Non vedevo più la luna in cielo e neanche le stelle erano accese.
Una piccola farfalla della notte entrò dalla finestra aperta e si poggiò su un libro, per poi lasciarsi andare e morire. Volare via.
Fu in quell'istante di morte, di sofferenza, di indigestione di futuro che stavo facendo che mi accorsi che ogni secondo che passava era un secondo in meno.
Allora preso da una grande frenesia cominciai a sbattere il pugno sul legno di mogano, e ansimare e cercavo di non capire ma non riuscivo a non pensare.
La risposta che trovai fu nel mio passato. Nei miei ricordi. Lì quella farfalla non sarebbe mai morta. Erano i ricordi, che ti tenevano in vita, erano quelli che ti facevano sorridere. Era il secondo prima delle lacrime, l'istante prima del buio, la felicità prima della felicità.
E mi ricordai, allora, dei miei nonni, di quanto erano belli in quella foto da ragazzi in cui erano giovani e la loro pelle non presentava i segni del futuro. Quando sorridevano e i loro occhi rispondevano ad ogni domanda dell'universo.
Mi ricordai i giocattoli di quando ero piccolo,della mia mamma che me li regalava e di mio padre con cui giocavo. Mi ricordai della prima volta in cui sognai e della prima volta in cui piansi. Mi ricordai il mio cane che correva verso una palla, contento ed immortale nella mia testa. Impossibile morire nei miei ricordi. Impossibile cancellare la storia ed è per questo che fa paura. Incredibile il piacere che provai quando la mia mano ormai sudata e rossa e lacrime fredde mi toccavano il volto con un espressione sorridente ma triste, lasciò la presa. Il passato ed ricordi ti ammazzano e ti tengono in vita. Della bellezza dei fiori e del vento che muove i capelli. Mi calmai e smisi di piangere come un bambino, il quale ero. Lasciai la mia penna sul tavolo insieme all'inchiostro trasparente di cui era sporca.
Aprì la porta della mia modesta casetta e quella notte la luna era tanto grande e tanto bella che l'avrei voluta stringere. Mi stesi sul prato, fresco di rugiada e di brina. Mi ricordai di quanto ancora fosse bello ...

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