Piangevano.
Credevano. Cadevano.
Pregavano.
Dormivano. Parlavano.
Loro,
affamati soldati di guerre inventate. Camminano arrabbiati con i cani
al guinzaglio e odiano il sole e la pioggia loro vogliono il nero.
Mi
ricordai quando mio nonno mi raccontava, di quello che io ero e che
fui. Uomo insensibile capace di uccidere e poi di ridere.
Capace
di vedere la morte e salutarla canticchiando qualche canzoncina
allegra, sorridendo pure tra me e me.
Perdevo
la paura e imbracciavo il fucile. Sparavo in lungo e in largo e
uccidevo madri senza proiettili. Uccidevo donne senza colpirle.
Uccidevo
fratelli senza averli salutati un ultima volta.
Poi
venivo ucciso anche io e morivo. Non mi risvegliavo più e rimanevo
giù, sprofondato nel mio abisso di pensieri inopportuni e sentendomi
inadeguato al mondo di là fuori pregavo Dio che mi
facesse
vedere la luce per uscire dal tormento che avevo dentro.
Per
quanto facesse male era divertente pregare.
Dormivo
nelle tende che la notte mi dava e accendevo il fuoco con il mio
orgoglio.
Erano
empi tremendi sotto il cielo di cenere e fiamme che ci cadevano in
testa.
Ricordavo
i tempi della pace e i suoni dell'acqua che coprivano le bombe un
tempo lontane.
Quanto
era brutto quel posto là. Era la guerra di noi che non ci capiamo
niente. Era la guerra dei soldati senza pelle che piangevano leggendo
una poesia.
Era
la guerra di chi a volte sorrideva mentre dentro la morte si
impossessava di lui senza risparmiarne nemmeno il cuore.
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