martedì 2 dicembre 2014

IO DENUNCIO LA MAFIA

L’asilo era privo di carta igienica e acqua potabile.
Il gommista mi chiedeva sempre più soldi.
Quando entrava il prete in casa per la benedizione mi sparivano collane d’oro e soldi.
Ogni  mese ricevevo la notizia della morte di qualche amico o conoscente, morti per soffocamento o incidenti in auto o coinvolti in esplosioni.
Forse mi accorsi un po’ troppo tardi che la mia vita correva parallela con quella della mafia.
Tutto quello che mi circondava era mafia, affare losco, complotto, insicurezza, tenebra e paura.
Un giorno decisi di farla finita, mi avrebbero ucciso a me o chiunque con cui avrei deciso di mettere su famiglia, ero costretto a vivere da solo e quindi andai  fino sul ponte della città, chiusi gli occhi, preparai la mia mente al salto ma … mi fermai, con il vento che muoveva i capelli e finalmente cominciai a ragionare e mi venne in mente che non  sarei dovuto morire io, ma loro, quei falsi, maledetti, sporchi luridi bastardi sarebbero dovuti morire.
Loro dovevano soffrire non noi. Non la gente che lavorava onestamente, non i poeti, gli artisti, i muratori, i medici.
Nessuno meritava di morire più di chi morte voleva. Era un mondo dannato e pieno di soli arroganti attirati dal luccichio delle monete e della filigrana.
Io dovevo fermare quel mondo e aprire le porte dell’altro.
Volevo che chiunque potesse credere, dire e fare.
Cominciai a scrivere alcuni articoli per giornali locali e a tenere qualche discorso in piazza per dire ciò che fanno questi uomini.
Tutta la gente morta, trucidata, bruciata.
Raccontai di chiunque conoscesse storie sulle vicende mafiose.
Girai l’Italia e denunciai al popolo nomi e cognomi, organizzazioni e movimenti loschi.
Denunciai al popolo e alla televisione ogni mossa e affare.
Quando un giorno, su un palco, con il microfono tra le mani e tanta rabbia nella voce, un uomo con il volto nero coperto e tra le mani un fucile anch’esso nero, mi sparò al cuore un proiettile.
Mi uccise.
Avevo smesso di parlare una volta per tutte. La mia voce era finita e rimasi lì, con la gente che mi guardava stupita, che piangeva il mio corpo.
Quelle lacrime per me, che denunciavo il movimento mafioso e lo denuncio tutt’ora dall’alto, quelle lacrime volevano dire che io ero zitto, si io, ma che altre migliaia di persone avevano cominciato ad urlare contro gli uomini del male.



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