mercoledì 20 agosto 2014

LA BICI DEL CAMPIONE


Girurdè Rossi correva per amore. Lui amava follemente il mondo delle catene, delle gomme, dei cambi e dell'olio. Qualsiasi cosa con cui andare forte la amava. A partire dalle moto grosse a finire ai tricicli per i bambini. Così un giorno, non potendo permettersi le gare in moto o una bici da corsa la bici la costruì.
Raccolse tutti i pezzi di ferro e i tubi che trovava per il cortile e per la città. Arrivò a scavare otto buche di una ventina di metri di profondità. Una volta trovati rubò il saldatore a suo padre e cominciò a mettere su i pezzi, più o meno come si ricordava. Aveva creato un catorcio di telaio da far paura. Davvero uno schifo. A lui piaceva però e di sicuro nessuno poteva dire niente a un bimbo di otto anni.
Per le gomme aveva intrecciato della corteccia di alberi, le gomme forate di una bici buona sarebbero state di lusso. La sella … beh per quella venne aiutato dal gatto del vicino. O meglio, per farla usò il gatto del vicino, anche se il nonno gli aveva detto che non era poi una grande idea. Ma a un bimbo di otto anni che gli vuoi dire.
I pedali, quelli erano lusso puro. Vecchi pedali di una bici carbonizzata in discarica. Infine come catena prese quella che aveva tolto dal collo del cane, che era scappato e successivamente stato ritrovato in stato confusionale.
La bici era pronta per partire. Un ammasso di lamiere e legno che non avrebbe mai potuto fare mezzo metro … era quello che credevano tutti. Cappellino all'indietro. Tutto il paese a osservare Giru e lui che veniva giù come un folle dalla discesa del centro. Il piccolo però dimenticò di mettere i freni. Partì via e non si vide più per anni. Finché un giorno, tutti a guardare il giro d'Italia, sul gradino più alto, dopo l'ultima tappa riconobbero un volto famigliare.

domenica 17 agosto 2014

MOSTARDA SU UN PICCIONE CRUDO

Era una mattina di Maggio, camminavo per un piccolo vicolo di Roma mi sembra e sulla mia destra un piccolo ristorante.
Era l'ora di pranzo e non ci vedevo più dalla fame. Mia suocera mi stava completamente assillando che voleva mangiare e che aveva fame. Mia moglie aveva già speso cinquantamila euro in vestiti firmati e i miei figli, FU e TJ si stavano picchiando a suon di sanpietrini che toglievano dall'antica pavimentazione. Io provavo a parlare di pesca con mio suocero.
Insomma la domenica perfetta, per eccellenza.
Entrammo tutti e sei nel piccolo localino arredato con mobili rustici e pareti in legno.
“Un tavolo per sei”.
“Certo, siete proprio fortunati, è l'ultimo rimasto”.
Il locale era pieno di gente che parlava e il cameriere con passo sicuro ci portò giù per una rampa di scale.
Due muri in pietra umida stringevano un tavolo anch'esso di pietra, cancellando i capotavola.
Il ragazzo con il grembiule e la camicia non ci lasciò neanche il tempo di provare a lamentarci per il posto che salì al piano di sopra.
Eravamo tre di fronte a tre, i miei piccoli stupidi continuavano a tirarsi della roba e dovetti sequestrargli i coltelli.
Tornò solo dopo dieci minuti un altro signore, alto coi baffi a prendere le ordinazione.
“Pizza”.
Dico io per ultimo.
“Come la vuole signore?”.
“La più buona che avete”.
“Faremo del nostro meglio signore”.
E si allontanò.
Passò circa una mezz'oretta e mia moglie aveva già picchiato i marmocchi e discusso con sua madre.
Il nonno giocava a carte da solo in un appassionante solitario e io guardavo fisso la punta delle mie scarpe con lo sguardo di uno che è condannato a morte.
Le mani giunte come se stessi dicendo il rosario.
Arrivano le portate:
I funghi all'aceto per i miei figli.
Pomodorini cotti con ketchup.
Tre pesci spada, crudo, cotto e ben cotto per il nonno.
Una fettina di pane con olio e sale per la nonna.
La mia pizza ancora non si vede.
Aspetto che gli altri abbiano finito e solo quando mio suocero mangia l'ultimo pezzo, apre la porta il cameriere con la mia pizza.
Il posto faceva schifo, la giornata faceva schifo ma finalmente una bella pizza.
“Ecco la specialità della casa, ci scusiamo ma la pizza era finita e avevamo avanzato qualcosa dal nostro fornitore, il barbone qui all'angolo”.
Lasciò il piatto sul tavolo e uscì dalla stanza in una sonora risata.
Un piccione. Non spennato. Non pulito. Ancora insanguinato era stato servito sopra un piatto cosparso di lattuga andata a male e bucce di banane.
Il piccolo corpo ancora con le interiora era stato riempito di mostarda.
“Allora non mangi tesoro? Avevi così tanta fame”.
Salta su mia moglie.
Assaggio il primo morso e provo a non vomitare.
Al secondo non riesco ad evitare di espellere ciò che sto mangiando.
Al terzo credo di essere morto.