martedì 18 novembre 2014

LO'E DEVE TACERE

Mi chiamo Lo'e.
Ho sempre vissuto a casa con mia madre.
Mio padre è morto quando avevo solo undici anni.
Ragazzo irriverente, impertinente, non capito dalla gente.
Ho amato la campagna finché non mi ha ucciso la sua solitudine, quella dei campi e delle sere in cui mi trovavo nudo in mezzo al vento che soffiava forte.
I miei occhi sempre felici ma in realtà senza emozioni vere, guardano il cielo che non mi aiuta.
Tesso le tele e amo l'amore che provo.
Ho paura della morte quando arriverà ma se busserà, aprirò e la inviterò nel salotto per un tè.
Poco amato forse, non cerco gloria ma solo un po' di folle tenerezza.
Ho paura della mia vita, voglio che resti con me per sempre, che non scappi.
Poco vivo forse, tengo soltanto a qualche sorriso e qualche carezza ricevuta.
Ho soltanto sperato tanto che qualcosa Dio mi desse oltre il grano e la guerra che in pace non sarò mai. Il mio lavoro è il mio denaro e la carne che indosso come un costume.
Il mio cane se ne è infischiato se piangevo per lui e non ha più abbaiato.
Pioggia e sole sono i miei creatori e i genitori che mi vengono a trovare tutti i giorni.
Non ho orgoglio e non credo di poter pensare ad una vita sola.
Vorrei non aver paura della felicità e della tristezza.
Vorrei essere sereno com'ero ieri e non agitato come quando oggi mi hai sfiorato.
Vorrei guardare le rondini in cielo senza avere dubbi sulla mia esistenza.
Ho paura di soffrire quando le stelle cadono e ho paura di morire quando la luna non c'è.
Ogni sera mi stendo nei campi e osservo il giallo scuro delle spighe nella notte e l'erba alta, blu, come lo sfondo di quel meraviglioso quadro.
Le cavallette e le lucciole saltano e volano su di me. Io resto fermo e le aspetto tutte le volte.
Poi ogni tanto sussurro qualche verso che ho imparato.
Sono sempre solo nel prato, mi piacerebbe che qualcuno mi venisse a trovare qualche volta ma sono tutti troppo impegnati nelle loro vicende sporche e ignobili come i soldi e la droga.
Vogliono arricchirsi di gambe e di bottiglie, di cattiveria e di violenza quando si potrebbe stare tutti in pace e avere lo stesso senza bisogno di sparare. Provo un profondo odio e piango e le lacrime scendono dure sul mio volto senza espressione, sfinito dalla crudeltà mia, che ora mi sale dentro e non esce più finché non urlo, ogni sera, un grande urlo che fa alzare le rondini e i passeri e mi riesce a rendere un po' diverso. Senza odio ma solo paure. Senza credo ma solo pianti, senza sorrisi ma solo amore, senza calci ma solo carezze, senza pelle ma solo ossa, senza uomini buoni intorno a me.
Rinchiuso nel mondo in cui volevano gli assassini che rimanessi, resto in silenzio perché non posso parlare, ma mi mostro al mondo come l'uomo che può urlare