venerdì 20 marzo 2015

TEATRO CHE RESPIRA

(SI APRE IL SIPARIO)

Qualche anno fa, mi capitò di incontrare un signore con una lunga barba bianca, che sedeva in un tavolino al bar.
Non so come si chiamasse.
Non so da dove venisse.
Lo osservavo sempre e da solo, si ripeteva sempre la solita frase: “C'è più gente che parla di gente, che gente che parla di sé”.
Era molto chiara la frase, siccome il contesto barriano. Parlava per forza dei discorsi delle vecchie signore e dei loro colleghi invecchiati bene o tremendamente male, senza vie di mezzo.
Lo evitavano tutti, ma mica potevi stare vicino a uno che parlava da solo e di tanto in tanto si pisciava addosso.
Il signore aveva sempre dei pantaloncini bianchi con una canottiera bianca, macchiata di terra.
Le spalle esili e fragili.
L'unica parte curata del suo corpo, si può dire fossero le sopracciglia, perché lui, ci teneva alle sopracciglia.
Un giorno, passando davanti al bar non resistetti e mi fermai.
“Un caffè signore?”
“Ragazzo, chiamami ragazzo”.
“Caffè...”
“Mi fa schifo il caffè”.
Discorso finito.
Così mi sedetti al tavolo di fronte lui.
Notai le scarpe, bianche, sporche di erba bagnata.
Hai visto?”
Mi fece quello.
“Cosa?”
“Quanto è comoda quella sedia”.
Rispose, con lo sguardo fisso su un campanile.
Il vecchio tirò fuori un libro dalla canottiera e me lo porse con aria indifferente, sempre fisso con lo sguardo oltre a me.
“Sei la prima persona con cui parlo dopo cinquantotto anni e duecento sessantadue giorni.”.
“E perché?”
“Avevo finito le parole”
“Vedovo?”
“Magari...”
“E perché non parlavi?”
“Non meritavano di ascoltarmi”.
Insomma, la modestia quello, l'aveva lasciata a casa.
Così feci per andarmene, con l'espressione di un calciatore che non centra i pali.
“Non ti chiedi il perché non lo meritavano?”
Gridò mentre mi allontanavo. In un attimo eravamo come diventati uniti per qualcosa che solo noi due potevamo capire.
“Perché?”
E mi mostrò una vecchia polaroid scattata molti anni prima.
Era un angolo di cielo, in cui si intravedeva una nuvola.
“E allora?”
“Quel posto, è stato l'ultimo posto che ho visto prima che scoppiasse l'odio nel mondo”.
Mi disse con una lacrima di commozione arrabbiata.
Prima del vietnam? Del 9/11? Dell'Afghanistan?
Chiesi io.
“Prima del diluvio universale”.
Rispose lui.
Mi lasciò da solo e andò via, di corsa, sulle scarpe bianche.

Sul tavolino era rimasto un biglietto che diceva: Barche a vela, barconi, yacht e arche. Tutto da Noè, il marinaio dei vostri sogni.
Non mi chiesi se fosse vero o no. Una pagliacciata o una gigantesca presa in giro.
Rimasi con il dubbio e la convinzione.
Rimasi lì io, per anni.
Mandai a cagare mia moglie e il lavoro.
Mandai a cagare tutti.
Signore, signore si alzi di lì”.
Mi fece il barista dopo sette anni che sedevo lì tutto il giorno, tutti i giorni.
Sto superando un lutto”.
Risposi.
Sua moglie? Sua madre? Condoglianze”.
No, la civiltà perduta, le religioni finte e inventate e i soldi sporchi, i credo sbagliati e tutti i morti”.

(SI CHIUDE IL SIPARIO)

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