(SI APRE IL
SIPARIO)
Qualche anno fa, mi
capitò di incontrare un signore con una lunga barba bianca, che
sedeva in un tavolino al bar.
Non so come si chiamasse.
Non so da dove
venisse.
Lo osservavo sempre
e da solo, si ripeteva sempre la
solita frase: “C'è più gente che parla di gente, che
gente che parla di sé”.
Era
molto chiara la frase, siccome il contesto barriano. Parlava
per forza dei discorsi delle vecchie signore e dei loro colleghi
invecchiati bene o tremendamente male, senza vie di mezzo.
Lo
evitavano tutti, ma mica potevi stare vicino a uno che parlava da
solo e di tanto in tanto si pisciava addosso.
Il
signore aveva sempre dei pantaloncini bianchi con una canottiera
bianca, macchiata di terra.
Le
spalle esili e fragili.
L'unica
parte curata del suo corpo, si può dire fossero le sopracciglia,
perché lui, ci teneva alle
sopracciglia.
Un
giorno, passando davanti al bar non resistetti e mi fermai.
“Un
caffè signore?”
“Ragazzo,
chiamami ragazzo”.
“Caffè...”
“Mi fa schifo il caffè”.
“Mi fa schifo il caffè”.
Discorso
finito.
Così
mi sedetti al tavolo di fronte lui.
Notai
le scarpe, bianche, sporche di erba bagnata.
“Hai
visto?”
Mi fece quello.
Mi fece quello.
“Cosa?”
“Quanto è comoda quella sedia”.
“Quanto è comoda quella sedia”.
Rispose,
con lo sguardo fisso su un campanile.
Il
vecchio tirò fuori un libro dalla canottiera e me lo porse con aria
indifferente, sempre fisso con lo sguardo oltre a me.
“Sei
la prima persona con cui parlo dopo cinquantotto
anni e duecento sessantadue giorni.”.
“E
perché?”
“Avevo finito le parole”
“Avevo finito le parole”
“Vedovo?”
“Magari...”
“E
perché non parlavi?”
“Non meritavano di ascoltarmi”.
“Non meritavano di ascoltarmi”.
Insomma,
la modestia quello, l'aveva lasciata a casa.
Così
feci per andarmene, con l'espressione di un calciatore che non centra
i pali.
“Non
ti chiedi il perché non lo meritavano?”
Gridò
mentre mi allontanavo. In un attimo eravamo come diventati uniti per
qualcosa che solo noi due potevamo capire.
“Perché?”
E
mi mostrò una vecchia polaroid scattata molti anni prima.
Era
un angolo di cielo, in cui si intravedeva una nuvola.
“E
allora?”
“Quel posto, è stato l'ultimo posto che ho visto prima che scoppiasse l'odio nel mondo”.
“Quel posto, è stato l'ultimo posto che ho visto prima che scoppiasse l'odio nel mondo”.
Mi
disse con una lacrima di commozione arrabbiata.
“Prima
del vietnam? Del 9/11? Dell'Afghanistan?
Chiesi
io.
“Prima
del diluvio universale”.
Rispose
lui.
Mi
lasciò da solo e andò via, di corsa, sulle scarpe bianche.
Sul
tavolino era rimasto un biglietto che diceva: Barche
a vela, barconi, yacht
e arche. Tutto da Noè,
il marinaio dei vostri sogni.
Non mi chiesi se fosse vero o no. Una pagliacciata o una gigantesca presa in giro.
Non mi chiesi se fosse vero o no. Una pagliacciata o una gigantesca presa in giro.
Rimasi
con il dubbio e
la convinzione.
Rimasi
lì io, per anni.
Mandai
a cagare mia moglie e il lavoro.
Mandai
a cagare tutti.
“Signore,
signore si alzi di lì”.
“Mi
fece il barista dopo sette anni che sedevo lì tutto il giorno, tutti
i giorni.
“Sto
superando un lutto”.
Risposi.
“Sua
moglie? Sua madre? Condoglianze”.
“No,
la civiltà perduta, le religioni finte e inventate e i soldi
sporchi, i credo sbagliati e tutti i morti”.
(SI
CHIUDE IL SIPARIO)
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