venerdì 3 aprile 2015

CONFUSIONE VIAGGIANTE

Colon irritato e denti ingialliti dalle sigarette, sigarette fatte di fragole di bosco che qualcuno aveva comprato in un locale Africano, dove viveva un signore che aveva un lingua lunghissima e due mani giganti, con queste mani diceva di aver giocato a basket nella squadra più scarsa del nord Vietnam, dove era riuscito a riconquistare un pallone in un finale di partita tremendo, più del suono delle campane, che risuonavano in quel paese, ogni giorno alle ventitre, per dire alla gente di smettere di dormire, che era tardi ormai, che bisognava alzarsi a vivere un pochino.
Era un paese, che se guardavi dalla luna, era ruotato di trentatre gradi rispetto alla casa di un tizio Canadese che quel giorno aveva pensato di smettere di cercare la gente e di fermarsi, per essere cercato.
Purtroppo, poi nessuno lo cercò, se non il suo cane marrone con le orecchie in su, che ogni tanto sbavava su una cucina in legno, bellissima, perfetta perfino pere Don Frex, cuoco Franco-Tedesco di origini cinesi, che avrebbe compiuto gli anni il vent’uno novembre dell’anno dopo e avrebbe fatto una festa con duemila novecento ranocchi presi da un contadino olandese, ubriaco fradicio, che si vergognava della moglie e della figlia e un po’, anche di se stesso.
Tre giorni dopo la festa, sarebbero morti otto uomini in un campo di grano giallo dove aveva vissuto un piccolo uccellino con il becco viola e le ali, che nel vento, suonavano un musica dolce, un jazz lento, un blues veloce.
L’evoluzione avanzava ancora, le persone s’ammazzavano e le ragazze ridevano, le gonne si alzavano nel vento e gli uomini giocavano a pallone sugli alberi.
Il tempo passava e il mondo, con tutti i suoi mutamenti, tutte le sue stagioni, i suoi tempi, le sue emozioni, il suo inquinamento e la sua gigantesca immensità, con il suo onore spiccato e con i pettorali di fuori, continuava il suo giro intorno al sole, senza fermarsi, andando avanti per ore e ore.
Le persone senza accorgersene compievano viaggi e accumulavano ricordi, su valigie finte e volti che vorrebbero essere stati trasparenti.
La magia della natura che nonostante tutto stringeva i denti e sbocciava.
Poi ogni tanto, qualcuno tornava dalla continua frenesia e si sedeva su una sedia verde, mentre beveva un succo di mela che lasciava molto a desiderare.
Quelli che tornavano, tornavano dal loro viaggio, dalla loro vita, com’erano partiti, con gli occhiali da sole e i denti ingialliti, il volto stanco e le anche storte, le rughe si e le rughe no.
Si tornava perché, si torna sempre.
Lo capì il vecchio canadese, che vide ritornare, in un giorno di aprile, l’amore che aveva aspettato.
Il cane che volava tra gli angeli, volava perché tutti partono.
Quelli che tornavano, tornavano dal loro viaggio, dalla loro vita,  con le valigie rovinate e le foto appiccicate su pagine di diario scritte, con storie fatte e storie ancora bianche, perché ognuno, deve partire per la propria vita e poi tornare per ricordarsi degli altri.

1 commento: