Verso l'una di di
notte, con lo sguardo stanco e il passo lento, i piedi che strisciano
e l'alito di menta, lui cammina verso la cucina.
Mentre il mondo
fuori è spento.
L'estate non è così
lontana come sembra.
Un bicchiere d'acqua
fresca, un sospiro e uno sguardo neutro su un muro bianco.
Come se fosse un
cavaliere incaricato di salvare il mondo, lui riposa il bicchiere con
una strana precisione nello stesso punto di prima.
Il tempo scorre
sull'orologio grande appeso nella sala come fosse un trofeo di
caccia.
Il pavimento di
legno scuro, illuminato da una lampada rossa, fa comparire ombre mai
viste.
Sul divano due pezzi
di pizza alla cipolla freddi e un anello dimenticato per la frenesia.
Due ore di piccole
coccole e qualche parola sussurrata al gatto nero che dorme.
Verso le tre di
notte, lei si alza dal letto, scoprendo le gambe bianche e a piccoli
passi si avvicina verso la sala, a finire la pizza e ricordarsi
dell'anello. Ha i capelli spettinati e la maglia stropicciata.
Un morso e un
bicchiere di vino rosso avanzato almeno da Natale.
Non c'è una parola
che voli, nemmeno un gemito, un accenno col capo.
Tutto è silenzio.
L'inverno non è poi
così vicino.
La struttura di un
articolo di giornale fa quasi ridere, e lei ride. Come se sapesse
fare tutto.
Lui ha sulle guance
del lucidalabbra appiccicoso e il gatto fa le fusa.
Lei ha sulle braccia
un odore di dopobarba che non è per niente male.
I denti bianchi
affondano poco elegantemente nel pomodoro e nella mozzarella.
Non è proprio
educata, si è perfino macchiata lei.
Lui ha imparato a
mangiare ma è sempre gobbo con la schiena, un vizio che non riesce a
togliersi.
Più che un vizio,
un grave errore di postura.
Le sue labbra, di
lui, sono tagliate dalle gomitate e da qualche pugno che forse non
era necessario per comprendere.
Le spalle di lei
sono ricurve in su, come una continua risposta scontata che dice:
ovvio.
I due ancora non si
parlano.
Lui con il respiro
profondo e la posa da orso.
Lei con il passo
leggero e il modo di comportarsi come quello di un uomo.
Non si chiamano
nemmeno “Amore”. Si chiamano per nome. Il divano macchiato di
sugo e l'anello infilato al dito.
Tutti e due si
alzano e vanno a dormire.
“Scusa te! Dove
vai?”
“A dormire. Vieni
con me.”
Con i muscoli contratti e le ossa fragili abbastanza da rompersi in continuazione, i due andarono nel letto, su un materasso bianco, con la finestra aperta chiusero gli occhi per una notte che di amore non aveva visto niente, ma che di loro aveva visto tutto.
Con i muscoli contratti e le ossa fragili abbastanza da rompersi in continuazione, i due andarono nel letto, su un materasso bianco, con la finestra aperta chiusero gli occhi per una notte che di amore non aveva visto niente, ma che di loro aveva visto tutto.