Sopra la grande tavola della
cucina si trovava appoggiata, ferma, immobile, una grande bottiglia
di acqua frizzante.
O se preferite di acqua con le
bollicine, di acqua pizzichina, insomma, di acqua gasata.
Essa era di vetro trasparente
con un tappo bianco.
All'interno acqua.
Solo acqua.
Albertino entrò nella stanza
dopo una giornata di lavoro in fabbrica e stremato la prese per bere.
Quando la bottiglia fu ad un
centimetro dalle labbra Albertino si immobilizzò e aggrottò le
sopracciglia.
Fece una strana cosa con la
bocca, poi un ghigno e la appoggiò di nuovo sul tavolo; nell'esatta
posizione di prima, dove era rimasto un piccolo cerchio di acqua.
Cercò una cannuccia in fretta
e poi con la bottiglia si gettò fuori di casa.
Prese un respiro molto
profondo. Si svuotò le tasche e i piccoli centesimi caddero
risuonando.
Le persone a quell'ora stavano
cenando e lui stava invece per volare.
Fece una verticale e con la
bocca infilò la cannuccia nella bottiglia.
Bevve tutto e pian piano, come
aveva progettato, incominciò ad alzarsi verso il cielo.
Sempre più su, in mezzo ai
tetti, salutando all'impazzata e urlando di paura.
Di paura.
Finite le domeniche anomale in
città, finiti i pranzi con i capi di lavoro.
Finito il lavoro in fabbrica.
Stava andando velocemente
verso l'universo.
Era questo il suo pensiero
mentre sfiorava ancora i lampioni.
La maglia gli cadeva sulla
testa, lui era ancora a testa in giù.
L'universo si avvicinava
ancora.
Niente più rumori di macchine
ormai.
Addio ai suoi vicini che si
sparavano alle tre di notte e poi facevano la pace.
La cannuccia rossa pendeva
dalle labbra.
Pendeva dalle labbra.
Albertino sedeva nell'apparente vuoto pieno di
bolle nella pancia, con gli occhi in alto a vedere quando sarebbe
entrato in orbita.
Se ne accorse quando fu
leggero come un corpo senza attrazione gravitazionale.
Quando non aveva più nemmeno
i pantaloni e fluttuava senza respiro verso l'inizio dell'infinito.
Verso l'inizio di un altro tutto.
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