In una calda giornata, in cui
il sole accendeva i barbecue e fondeva le teste, in un grande prato
un calabrone volava a trenta centimetri da terra, in direzione del
sole.
Volava aiutato da una fresca
brezza proveniente dal mare, una brezza capace di muovere le cime
degli alberi alti e affusolati, che padroneggiavano sulla distesa di
erba alta e tulipani.
Il calabrone ronzava forte,
senza infastidire nessuno. Era solo nell'aria di quel prato e poteva
sbattere le ali più velocemente di come pensava.
Nuotava a suo modo, felice
nell'aria e il cielo con qualche nuvola lontana, portata dal vento,
si oscurava man mano.
Dove c'era l'azzurro ci
perdevi i sensi e la testa cominciava a girare.
Dove c'era il grigio, sentivi
l'odore della terra bagnata.
Il calabrone era viola, nero,
blu, con il sole si notavano riflessi e colori nuovi agli occhi.
Intanto l'odore così dolce e
forte della terra bagnata, si alzava nell'aria e il calabrone lo
sentì.
Certe cose i calabroni le
sentono.
Se ascoltavi bene, le formiche
cominciavano a correre nei loro formicai mentre il sole veniva
coperto ma non perché aveva freddo.
Le api scappavano veloci dalla
pioggia e le farfalle finivano le ultime danze tra i fiori.
Gli scoiattoli si sentivano
parlare sopra gli alberi e gli uccelli piano piano volare più bassi
e smettere di cantare.
Le gocce ruppero l'azzurro e
caddero forti a bagnare l'erba e le ali del calabrone, che rimase a
terra per pochi istanti.
La pioggia insistette e il
sole spuntava appena da un angolino.
Il calabrone zuppo smise di
volare.
Ma il sole era ancora lontano,
lo doveva raggiungere, non poteva fermarsi.
Così guardò la pioggia e gli
chiese di smettere.
Lei accettò dopo un po' di
contrattazione e il calabrone riprese il suo viaggio fino al sole,
tra gli squittii, i nuovi ronzar e il cinguettare di piccoli passerotti.
Certi becchi non si danno per
caso. Si danno perché ti hanno impedito di andare dove volevi.
Tipo sul sole.